segunda-feira, 28 de junho de 2010

Il popolamento del territorio italiano risale alla preistoria, epoca di cui sono state ritrovate importanti testimonianze archeologiche. L'Italia è stata abitata almeno a partire dal periodo Paleolitico. Tra i più interessanti siti archeologici italiani risalenti al paleolitico, si ricorda quello di Monte Poggiolo, presso Forlì, di La Pineta presso Isernia, uno dei più antichi siti dove l'uomo ha usato il fuoco citato sulla rivista "Science"[1], e la Grotta dell'Addaura, presso Palermo, nella quale si trova un vasto e ricco complesso d'incisioni, databili fra l'Epigravettiano finale e il Mesolitico, raffiguranti uomini ed animali.

Tra i popoli insediatisi nel Neolitico, quando l'uomo da cacciatore divenne anche pastore e agricoltore, si ricordano gli antichi Camuni (in Val Camonica).

Etruschi e Genti Italiche [modifica]

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Cartina con i maggiori centri Etruschi, ed "espansione" della civiltà etrusca nel corso dei secoli

Le informazioni sulle genti abitanti la penisola in epoca preromana sono, in taluni casi, incomplete e soggette a revisione continua. Popolazioni di ceppo indoeuropeo, trasferitesi in Italia dall'Europa Orientale e Centrale in varie ondate migratorie (veneti, umbro-sabelli, latini, ecc.), si sovrapposero ad etnie pre-indoeuropee già presenti nell'attuale territorio italiano, o assorbendole, oppure stabilendo una forma di convivenza pacifica con esse.

Presumibilmente, queste migrazioni ebbero inizio in età del bronzo medio (e cioè attorno alla metà del II millennio a.C.) e si protrassero fino al IV secolo a.C. con la discesa dei Celti nella pianura padana. Fra i popoli di età preromana, meritano una particolare menzione gli Etruschi che, a partire dall'VIII secolo a.C., iniziarono a sviluppare una civiltà raffinata ed evoluta che influenzò notevolmente Roma e il mondo latino. Le origini di questo popolo non indoeuropeo, stabilitosi sul versante tirrenico dell'Italia centrale, sono incerte.

Secondo alcune fonti, la loro provenienza andrebbe ricercata in Asia Minore, secondo altre, avrebbero costituito una etnia autoctona. Certo è che, già attorno alla metà del VI secolo a.C., riuscirono a creare una forte ed evoluta federazione di città-stato che andava dalla Pianura Padana alla Campania e che comprendeva anche Roma ed il suo territorio. In Italia settentrionale, accanto ai Celti (comunemente chiamati Galli), vi erano i Liguri (originariamente non indoeuropei poi fusisi con i Celti) stanziati in Liguria e parte del Piemonte mentre nell'Italia nord-orientale vivevano i Veneti (paleoveneti) di probabile origine illirica o, secondo alcune fonti, provenienti dall'Asia Minore.

Nell'Italia più propriamente peninsulare accanto agli Etruschi, convivevano tutta una serie di popoli, in massima parte di origine indoeuropea, fra cui: Umbri in Umbria; Latini, Sabini, Falisci, Volsci ed Equi nel Lazio; Piceni nelle Marche ed in Abruzzo Settentrionale; Sanniti nell'Abruzzo Meridionale, Molise e Campania; Apuli, Messapi e Iapigi in Puglia; Lucani e Bruttii nell'estremo Sud; Siculi, Elimi e Sicani (non indoeuropei, probabilmente autoctoni) in Sicilia. La Sardegna era abitata, fin dal II millennio a.C., dai Sardi, risultato, forse, di un connubio tra le preesistenti popolazioni megalitiche presenti nell'Isola ed il misterioso popolo dei Shardana.

Alcune di queste popolazioni, stanziate nell'Italia meridionale e nelle isole, si troveranno a convivere, dall'VIII fino al III secolo a.C., con le colonie greche e fenicie (Puniche) successivamente assorbite dallo stato romano. Fra le popolazioni citate, oltre agli Etruschi, di cui si è già parlato, ebbero un ruolo importante in epoca preromana e romana i Sanniti, che riuscirono a costituire un'importante federazione in una vasta area dell'Italia appenninica e che contrastarono lungamente l'espansione romana verso l'Italia meridionale.

Nell'area laziale, invece, un posto a sé stante meritano i Latini protagonisti, insieme ai Sabini, della primitiva espansione dell'Urbe e forgiatori, insieme agli Etruschi ed ai popoli italici più progrediti (Umbri, Falisci, ecc.), della futura civiltà romana.

Storia antica [modifica]

Fenici e Cartaginesi [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Espansione cartaginese in Italia.

Primi stanziamenti Fenici nell'attuale territorio italiano sono datati attorno all'VIII secolo a.C. quando, dopo una iniziale fase di precolonizzazione del Mediterraneo occidentale e di fondazione di città come Utica e Cartagine, veri e propri colonizzatori si insediarono sulle coste della Sardegna e nell'area occidentale della Sicilia. Nascono Mozia (da cui più tardi Lilibeo), Palermo, Solunto in Sicilia e Sulci, Nora, Tharros, Bithia, Cagliari in Sardegna.[2]

Mentre in Sicilia l'installazione fenicia non incontrò grandi reazioni da parte degli autoctoni (a Monte Erice, per esempio, un tempio fu dedicato ad Astarte, dea-madre dell'area cananea, che veniva frequentato dai Fenici e dagli Elimi[3]), in Sardegna i Fenici, per la decisa resistenza che incontrarono, non riuscirono a controllare territori molto ampi lontano dalle loro città.

A metà del VI secolo, con la spedizione del semileggendario Malco iniziò il tentativo di conquista, vera e propria delle isole maggiori. Cartagine, a tre secoli dalla fondazione, aveva raggiunto i limiti di espansione lungo la costa settentrionale dell'Africa dove, a est aveva fermato la colonizzazione greca vincendo gli scontri con Cirene e verso ovest intratteneva ottimi rapporti con Numidi e Mauri. Le coste della Spagna erano ben controllate, Gli Etruschi non impensierivano i punici. Solo la Sicilia vedeva la costante migrazione e i continui insediamenti delle popolazioni della Grecia che lentamente ma sicuramente spinsero i Fenici nell'estrema punta occidentale dell'isola.

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Dislocazione di alcuni insediamenti Cartaginesi e Greci nel 580 a.C.

Questa pressione demografica e -soprattutto- economica spinse Cartagine al tentativo di fermare i Greci o addirittura di conquistare l'intera Sicilia. Ciò avrebbe consentito il totale controllo dei due passaggi dal Mediterraneo Orientale a quello Occidentale. Una serie di interventi bellici nell'arco di due secoli (dal 550 a.C. al 275 a.C.) non portarono a grandi risultati. A fasi alterne le varie guerre greco-puniche allargarono la sfera di influenza cartaginese o greca in Sicilia senza che nessuno dei due popoli riuscisse a prevalere nettamente sull'altro. Tutto si concluse con lo scoppio della prima guerra punica che tolse ai Cartaginesi le aree siciliane e pose una pesante ipoteca su Siracusa, unico regno siceliota di qualche importanza.

Cartagine riuscì comunque a bloccare quasi completamente l'espansione greca nel Mediterraneo occidentale; dai greci furono inizialmente fondate solo Marsiglia, Alalia e Cuma; altre colonie sorsero più tardi. Per contro, in Sardegna, l'espansione cartaginese incontrò maggiori difficoltà per la resistenza offerta da parte delle popolazioni autoctone. Ciononostante, già intorno al 450 a.C., i Cartaginesi erano riusciti ad organizzare nell'isola un sistema abbastanza stabile di frontiere interne, sempre all'interno della loro politica imperialista nel contesto mediterraneo.

Lo sforzo bellico in Sardegna riuscì a rendere l'isola un vero e proprio possedimento, come il territorio della costa libica, dove l'imperio Cartaginese poté dirigere la produzione mineraria e agricola in relazione alle necessità puniche e non solo autoctone.

Nel corso del tempo i Cartaginesi giunsero quindi a chiudere le coste dell'isola in un vero e proprio cerchio di fortezze e colonie[4]. L'agricoltura sarda era dedicata principalmente alla produzione di grano tanto che già nel 480 a.C. Amilcare, impegnato nella battaglia di Imera, fece venire dalla Sardegna in Sicilia i rifornimenti di grano per le sue truppe.Dallo pseudo-aristotelico De mirabilibus auscultationibus sappiamo che Cartagine proibiva la coltivazione di piante da frutto per spingere la monocultura del grano.[5]. L'artigianato sardo era fortemente condizionato dagli stili artistici e dalle commesse che i cartaginesi portavano nell'isola.

Cartagine entrò anche nella storia d'Italia peninsulare riuscendo ad allearsi con gli Etruschi per combattere i greci di Alalia, in Corsica, che si erano dati alla pirateria. Le Lamine di Pyrgi ci mostrano quanto fosse sentito l'influsso cartaginese sulle coste toscane e laziali. È del 509 a.C., infine, l'inizio di relazioni diplomatiche importanti fra Cartagine e Roma. La neonata Repubblica romana e i cartaginesi siglarono il primo dei Trattati Roma-Cartagine, il primo riconoscimento che Cartagine offrì a Roma e che segnò l'inizio di stabili relazioni fra le due città. Altri trattati vennero, nel tempo, conclusi; la loro formulazione segue, nell'ampliarsi e restringersi delle concessioni dei Cartaginesi ai Romani, l'alternarsi dell'evoluzione territoriale e di potenza dell'Urbe.

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Per approfondire, vedi la voce Trattati Roma-Cartagine.

Magna Grecia [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Magna Grecia.

Tetradracma di Siracusa

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Testa di Aretusa

Auriga alla guida di una quadriga

Argento ca. 415-405 a.C.

Tra l'VIII ed il VII secolo a.C., coloni provenienti dalla Grecia iniziarono a stabilirsi sulle coste del sud peninsulare italiano e in Sicilia. Le prime colonie ad essere costituite furono quelle ioniche e peloponnesiache: gli Eubei e i Rodii fondarono Cuma, Reggio Calabria, Napoli, Naxos e Messina, i Corinzi Siracusa (i cui abitanti a loro volta fonderanno la città di Ankon, l'odierna Ancona), i Megaresi Leontinoi, gli Spartani Taranto, mentre coloni provenienti dall'Acaia furono all'origine della nascita di Sibari e di Crotone. Altre importanti colonie furono Metaponto, fondata anch'essa da coloni Achei, Heraclea e Locri Epizefiri.

Con la colonizzazione greca i popoli italici entrarono in contatto con una civiltà raffinata, caratterizzata da espressioni artistiche e culturali elevate che diedero origine nella parte meridionale della penisola italiana e in Sicilia a scuole filosofiche e alla fioritura di letterati, artisti e uomini di scienza sia di origine greca (Pitagora) che autoctona (Teocrito, Parmenide, Archimede, ecc.). I Greci furono anche portatori di istituzioni politiche sconosciute all'epoca e che prefiguravano forme di democrazia diretta. Tra le principali città greche in terra italiana, vi fu Napoli, il cui porto, specialmente a partire dal 420 a.C., in concomitanza col calo dell'influenza ateniese, si impose tra i più importanti del Mediterraneo [6]. Anche Siracusa, fra il V ed il IV secolo a.C. conobbe un notevole sviluppo demografico ed economico.

I contrasti fra le colonie greche e le popolazioni autoctone furono frequenti, tuttavia i Greci cercarono di instaurare rapporti pacifici con le popolazioni locali, favorendo, in molti casi, un loro lento assorbimento. La ricchezza e lo splendore delle colonie furono tali da far identificare l'Italia meridionale peninsulare dagli storici romani con l'appellativo di Magna Grecia. Nel III secolo a.C. tutte le colonie italiote della Magna Grecia e quelle siciliane furono assorbite nello Stato romano. Per molte di esse iniziò un fatale declino.

Roma (753 a.C. - 476 d.C.) [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Storia romana.

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La scultura rappresenta la Lupa capitolina che allatta i gemelli Romolo e Remo, che furono aggiunti, probabilmente da Antonio del Pollaiolo, nel tardo XV secolo.

Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle palatino. In realtà, già in precedenza erano sorti villaggi in quella posizione, fondamentale per la via di commercio del sale, ma solo alla metà dell'VIII secolo questi si unirono in una sola città. La zona era dotata, inoltre, di un buon potenziale agricolo, e la presenza dell'isola Tiberina rendeva facile l'attraversamento del vicino fiume Tevere.

Età regia (753 - 509 a.C.) [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Età regia di Roma.

Romolo instaurò nella città il regime monarchico: fino al 509 a.C., Roma fu retta, secondo la tradizione, da sette re,[7] che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società.

Ognuno dei primi quattro, infatti, operò in un diverso ambito dell'"amministrazione statale": il fondatore eponimo Romolo diede il via alla prima guerra di espansione contro i Sabini, originatasi dall'episodio del ratto delle Sabine, e associò al trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato stato romano. Stabilì poi la suddivisione della popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei.

Il suo successore Numa Pompilio istituì i primi collegi sacerdotali, come quello delle Vestali, e riformò il calendario. In seguito, Tullo Ostilio riprese le ostilità contro i popoli vicini e sconfisse la città di Alba Longa, mentre il successore Anco Marzio operò nel campo dell'urbanistica: costruì il primo ponte di legno sul Tevere, fortificò il Gianicolo e fondò il porto di Ostia.

Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo, infatti, gli Etruschi, all'apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico iniziava a farsi considerevole.

Era dunque fondamentale per gli etruschi assicurarsi il controllo su una zona che assicurava il passaggio delle rotte commerciali; comunque non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma. Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale.

Il suo successore, Servio Tullio, fu, secondo la leggenda, colui che ideò l'ordinamento centuriato, sostituendolo alla precedente ripartizione della popolazione; combatté anch'egli contro alcune delle principali città etrusche e latine limitrofe a Roma. Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo che fu allontanato dall'Urbe nel 510 a.C., secondo la leggenda con l'accusa di aver commesso violenze nei confronti della giovane Lucrezia; il patriziato romano, comunque, non era più disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un'influenza, in campo politico, pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.

Età repubblicana (509-58 a.C.) [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Repubblica Romana.

La conquista dell'Italia peninsulare [modifica]

Dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo ed il fallimento (determinato, secondo la leggenda, dalle eroiche azioni di Muzio Scevola, Orazio Coclite e Clelia) del suo tentativo di riprendere il potere con l'aiuto degli Etruschi condotti dal lucumone di Chiusi, Porsenna, fu instaurata, ad opera di Lucio Giunio Bruto, organizzatore della rivolta antimonarchica, la forma di governo della Repubblica. Essa prevedeva la spartizione tra più cariche dei poteri che prima erano appartenuti ad un uomo solo, il re: il potere legislativo fu assegnato alle assemblee dei comizi centuriati e del senato, e furono create numerose magistrature, consolato, censura, pretura, questura, edilità, che gestissero i vari ambiti dell'amministrazione. Tutte le cariche, tra le quali il consolato e il pretorato erano cum imperio, erano collegiali, in modo tale che si evitasse l'affermazione di singoli uomini che potessero accentrare il potere nelle loro mani.

Roma si trovò subito a lottare contro le popolazioni latine delle zone limitrofe, sconfiggendole nel 499 a.C.[8] nella battaglia del lago Regillo, e federandole a sé nella Lega Latina mediante la firma del foedus Cassianum, nel 493 a.C.[9] Combatté poi contro gli Equi e i Volsci, e, una volta sconfitti, si scontrò con la città etrusca di Veio, che fu espugnata da Marco Furio Camillo nel 396 a.C.

I primi anni di vita della Repubblica Romana furono notevolmente travagliati anche nell'ambito della politica interna, in quanto le gravi disuguaglianze sociali che avevano portato alla caduta del regno non erano state cancellate. I plebei iniziarono così una serie di proteste contro la classe dominante dei patrizi: nel 494 a.C., infine, si ritirarono in secessione sul colle Aventino. La situazione si risolse con l'istituzione della magistratura del tribunato della plebe e con il riconoscimento del valore legale delle assemblee popolari. Importanti acquisizioni furono anche la redazione, nel 450 a.C. da parte dei decemviri, delle leggi delle Dodici Tavole, che garantivano una maggiore equità in ambito giudiziario, l'approvazione della lex Canuleia, nel 445 a.C.

Nel 386 a.C., l'esercito romano fu sconfitto dai Galli guidati da Brenno, che penetrarono nell'Urbe e la sottoposero ad un rovinoso saccheggio.[10][11] Vent'anni dopo, nel 367 a.C., furono promulgate le leges Liciniae Sextiae, che costituivano un'ulteriore acquisizione di diritti da parte della plebe.

Ormai potenza egemone nell'Italia centrale, Roma cominciò a meditare un'espansione verso Sud; per premunirsi, inoltre, da eventuali defezioni degli alleati latini, stipulò nel 354 a.C. un'alleanza con i Sanniti, contro i quali, tuttavia, combatté pochi anni più tardi, in difesa della città di Capua. Il conflitto, apertosi nel 343 a.C., terminò nel 341 a.C. senza alcun sostanziale mutamento dello status quo. Tra il 340 e il 338 a.C., inoltre, Roma fu costretta a combattere una nuova e sanguinosa guerra contro i Latini, e ottenne la vittoria solo con grandissimi sforzi. Nel 327 a.C., poi, si riaprì il conflitto con i Sanniti: i Romani, dopo le sconfitte delle Forche Caudine e di Lautulae, riuscirono a volgere la situazione in loro favore, riportando una complessiva vittoria nel 304 a.C. Contro i Sanniti Roma combatté, infine, una terza guerra tra il 298 e il 290 a.C., al termine della quale ogni resistenza poteva dirsi annientata.

Consolidata la propria egemonia sull'Italia centro-meridionale, Roma arrivò a scontrarsi con le città della Magna Grecia e con la potente Taranto: con il pretesto di soccorrere la città di Turi, minacciata, Roma violò intenzionalemente un patto stipulato con Taranto nel 303 a.C., scatenando la guerra. Taranto invocò allora l'aiuto del re d'Epiro Pirro, che giunse in Italia nel 280 a.C. portando con sé un esercito composto anche da numerosi elefanti. L'epirota riuscì a sconfiggere i Romani a Heraclea e ad Ascoli, seppure a costo di gravissime perdite; decise dunque di consolidare il suo potere sul Sud dell'Italia, ma ottenne una sostanziale sconfitta in Sicilia, dove le colonie greche, preoccupate per le tendenze dispotiche di Pirro, si allearono con Cartagine e riuscirono a respingere l'invasore. L'epirota marciò dunque contro i Romani che, riorganizzatisi, erano tornati a minacciare Taranto, ma fu duramente sconfitto a Maleventum nel 275 a.C. e costretto a tornare oltre l'Adriatico. Taranto, dunque, fu nuovamente assediata e costretta alla resa nel 272 a.C.: Roma era così potenza egemone nell'Italia peninsulare, a sud dell'Appennino Ligure e Tosco-Emiliano.

Le Guerre Puniche e i conflitti in Oriente [modifica]

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Per approfondire, vedi le voci Guerre Puniche, Guerre macedoniche e Guerra siriaca.

La conquista dell'Italia portò, inevitabilmente, allo scontro con l'altra grande potenza del Mediterraneo Occidentale: Cartagine. Le guerre che si scatenarono furono di inaudita ferocia e di notevole durata, ma videro infine il trionfo totale di Roma.

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Annibale Barca

Nel 264 a.C. Roma inviò un piccolo contingente in soccorso di Messina, con l'intento di assicurarsi il controllo dello stretto, fondamentale per il transito delle navi: i Cartaginesi, dunque, che ambivano anch'essi al controllo dell'isola, decisero di reagire con la guerra. Dopo una prima fase di scontri terrestri, in cui riuscì ad ottenere alcune vittorie, Roma decise di sfidare i Cartaginesi sul mare, e, approntata una flotta di navi dotate di corvi, sconfisse i nemici nella battaglia di Milazzo.

Nel tentativo di infliggere una decisiva sconfitta a Cartagine, Roma affidò al console Marco Atilio Regolo l'incarico di portare la guerra in suolo africano: sconfitta nuovamente la flotta nemica a Capo Ecnomo, nel 256 a.C., il generale riuscì a sbarcare in Africa ma, dopo alcune vittorie iniziali, fu pesantemente sconfitto e costretto alla resa. Nel 241 a.C., dunque, Roma, approntata una nuova flotta guidata da Gaio Lutazio Catulo, sconfisse nuovamente i Cartaginesi preso le Isole Egadi: sottratto ai nemici il predominio sul mare i Romani poterono concludere anche le operazioni terrestri, espandendo il loro controllo su tutta la Sicilia, e costringendo Cartagine alla resa.[12]

Allontanato provvisoriamente il pericolo cartaginese, Roma si preoccupò di consolidare il proprio dominio riducendo la Sicilia in condizione di provincia e di estenderlo annettendo la Sardegna e la Corsica; sconfisse inoltre i pirati illirici che, tacitamente supportati dalla regina Teuta, infestavano le coste adriatiche e respinse un nuovo assalto dei Galli a Nord. Qualche anno più tardi le legioni passarono all'offensiva anche in pianura padana, riportando una grande vittoria nella battaglia di Clastidium (222 a.C.), che fu seguita dalla deduzione delle colonie di Piacenza e Cremona. Preoccupato dalla nuova espansione cartaginese nella penisola iberica, intanto, il Senato stipulò un nuovo patto con la potenza africana; quando tuttavia nel 218 a.C. il generale punico Annibale Barca attaccò la città di Sagunto, alleata di Roma, si decise di dichiarare nuovamente guerra a Cartagine. Annibale, allora, portando con sé un solido esercito e alcuni elefanti, valicò le Alpi e attaccò Roma da Nord, sconfiggendo le legioni presso il Ticino, la Trebbia e il Trasimeno. Dopo una fase di stallo, durante la quale Roma poté riorganizzarsi, dovuta alla politica attuata dal dictator Quinto Fabio Massimo, soprannominato Cunctator (temporeggiatore), le legioni romane al comando dei consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone marciarono nel 216 a.C. contro Annibale a Canne, ma furono duramente sconfitte.

Mentre numerose città si alleavano con i Cartaginesi e anche la Macedonia di Filippo V scendeva in guerra contro Roma, Annibale si attardò nel Sud Italia, mentre i Romani, seppure provati, poterono lentamente ricostituire le proprie forze: il console Publio Cornelio Scipione riuscì a sconfiggere ripetutamente i Cartaginesi in Spagna. In Italia i consoli Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone sconfissero e uccisero il fratello di Annibale, Asdrubale, presso il Metauro, mentre si apprestava a portare rinforzi alle forze puniche in Italia. Contemporaneamente Roma otteneva numerose vittorie anche sul suolo italico, riconquistando le città che avevano defezionato per allearsi con Annibale. Stremato da un decennio di guerra e vistosi negare i rinforzi dalla madrepatria, lo stesso Annibale fu costretto a fare ritorno in Africa nel 203 a.C., dopo che Scipione, conquistata la Penisola Iberica e ristabilita la situazione in Italia era sbarcato nel territorio nemico per tentare di ottenere una vittoria definitiva. I due generali si scontrarono nel 202 a.C. a Zama, e l'esercito romano ottenne una sofferta ma decisiva vittoria. Cartagine, dunque, minacciata da vicino dalle forze nemiche, fu costretta a capitolare e ad accettare le condizioni di pace imposte da Roma.

In Italia settentrionale, intanto, Roma era chiamata a risolvere una volta per tutte il problema celtico. I Celti o Galli, che si erano sollevati contro Roma durante la seconda guerra punica, non avevano infatti deposto le armi neppure dopo la sconfitta di Zama. Quando nel 200 a.C. i Galli in rivolta si impadronirono della colonia di Piacenza e minacciarono Cremona, Roma decise di intervenire in forze. Nel 196 a.C. Scipione Nasica vinse gli Insubri, nel 191 a.C. furono piegati i Boi, che controllavano una vasta zona tra Piacenza e Rimini. Superato il fiume Po, la penetrazione romana proseguì pacificamente: le popolazioni locali, Cenomani e Veneti, si resero conto che Roma era l'unica in grado di proteggerli dagli assalti delle altre tribù confinanti. Attorno al 191 a.C. la Gallia Cisalpina fu ridotta a provincia. Nel 177 a.C. venne sottomessa anche l'Istria. Nel 175 a.C., infine, vennero soggiogati anche i Liguri Cisalpini.

Ormai potenza egemone del Mediterraneo occidentale, Roma poté presto dimostrare le sue mire espansionistiche a danno degli stati ellenistici dell'Oriente: nel 200 a.C., gli abitanti di Rodi e Pergamo inviarono a Roma, sentendosi minacciati dalla Macedonia di Filippo V, una richiesta di aiuto, e l'Urbe, inviato a sua volta un ultimatum a Filippo, decise di intervenire. Nel 197 a.C. il console Tito Quinzio Flaminino inflisse alle truppe macedoni una sconfitta definitiva presso Cinocefale, ed un anno più tardi proclamò ufficialmente la liberazione della Grecia dall'egemonia macedone.

I Greci, tuttavia, consci di dover respingere i Romani per non essere annessi al loro stato, preferirono allearsi con il sovrano seleucide Antioco III: Roma, dunque, nel 191 a.C., dichiarò guerra ad Antioco, e, dopo averlo sconfitto presso le Termopili nel 191 a.C. e presso Magnesia nel 188 a.C., lo costrinse a firmare una pace con cui cedeva a Roma alcune terre in Asia Minore.

Nel 171 a.C., il figlio di Filippo di Macedonia, Perseo, si sollevò nuovamente in armi contro i Romani, dando inizio alla terza guerra macedonica. Dopo alterne vicende, nel 168 a.C. l'esercito romano guidato da Lucio Emilio Paolo[13] sconfisse duramente la truppe di Perseo a Pidna, e Roma poté dividere il territorio macedone tra quattro repubbliche subalterne e tributarie.

Cartagine, intanto, fortemente provata dalle conseguenze della seconda guerra punica, era sottoposta ai continui attacchi del re numida Massinissa, alleato dei Romani, che approfittava della situazione per estendere sempre di più i propri possedimenti ai danni della stessa Cartagine. A Roma, dunque, giunsero ambasciatori dalla città africana, ma l'Urbe rifiutò di intervenire per mantenere la pace; nel 50 a.C. Cartagine fu dunque costretta a violare gli accordi di pace e a reagire con la forza a Massinissa. Il senato, quindi, sobillato da Catone il Censore, decise di attaccare Cartagine, e nel 147 a.C. si risolse ad inviare in Africa il console Publio Cornelio Scipione Emiliano: questi, dopo un lungo assedio, nel 146 a.C. espugnò e rase al suolo la città.

Contemporaneamente, nel 150 a.C. un tale Andrisco, sostenendo di essere figlio di Perseo, guidò una nuova rivolta di Greci e Macedoni contro Roma: dopo alcuni iniziali successi, tuttavia, le forze ribelli furono duramente sconfitte. Nel 146 a.C., infine, i Romani rasero al suolo Corinto. Con la sconfitta dei nemici contro cui combatteva da anni su entrambi i fronti, Roma era diventata padrona del Mediterraneo.

Le nuove conquiste, tuttavia, portarono anche notevoli cambiamenti nella società romana: i contatti con la cultura ellenistica, temuta e osteggiata dallo stesso Catone, modificarono profondamente gli usi che fino ad allora si rifacevano al mos maiorum, trasformando radicalmente la società dell'Urbe.

I Gracchi [modifica]

I problemi connessi ad una espansione così grande e repentina che la Repubblica dovette affrontare furono enormi e di vario genere: le istituzioni romane erano fino ad allora concepite per amministrare un piccolo stato; adesso le province si stendevano dall'Hispania, all'Africa, alla Grecia, all'Asia.

Le continue guerre in patria e all'estero, inoltre, immisero sul "mercato" una quantità enorme di schiavi, i quali vennero usualmente impiegati nelle aziende agricole dei patrizi romani, con ripercussioni tremende nel tessuto sociale romano. Infatti la piccola proprietà terriera andò rapidamente in crisi a causa della maggior competitività dei latifondi schiavistici (che ovviamente producevano praticamente a costo zero), ciò provocò da una parte la concentrazione dei terreni coltivabili in poche mani e una grande quantità di merci a buon mercato, dall'altra generò la nascita del cosiddetto sottoproletariato urbano: tutte quelle famiglie costrette a lasciare le campagne si rifugiarono nell'urbe, dove non avevano un lavoro, una casa e di che sfamarsi dando origine a pericolose tensioni sociali abilmente sfruttate dai politici più scaltri. A tentare una riforma che ponesse un rimedio alla crisi fu, per primo, Tiberio Sempronio Gracco, che emanò una legge che limitava l'occupazione delle terre dello stato a 125 ettari e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina: una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, ma non più di 1000; i terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7,5 ettari). Colpendo in questo modo gli interessi delle classi aristocratiche, finì assassinato ma il Senato Romano non revocò le sue leggi, che comunque diedero qualche iniziale risultato. La riforma fu poi continuata dal fratello, Gaio Sempronio Gracco, che finì suicida braccato dagli stessi sicari del fratello.

L'influenza della conquista della Grecia sui costumi dei Romani [modifica]

Anche la struttura originale della famiglia, delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti: il contatto con la civiltà greca e l'arrivo nella città di moltissimi schiavi ellenici (in molti casi più colti e istruiti dei loro stessi padroni) generò nel popolo romano, specialmente tra la classe dirigente, sentimenti e passioni ambivalenti: da una parte si desiderava rinnovare i costumi rurali romani - mos maiorum - introducendo usanze e conoscenze provenienti dall'Oriente. Questo comportamento fece sì effettivamente che il livello culturale dei Romani, almeno dei patrizi, crescesse significativamente - basti pensare all'introduzione della filosofia, della retorica, della letteratura e della scienza greca - ma indubbiamente generò altresì una decadenza dei valori morali, testimoniata dalla diffusione di costumi e abitudini perfino oggi moralmente discutibili.

Tutto ciò naturalmente non accadde senza provocare una strenua opposizione e resistenza da parte degli ambienti più conservatori, reazionari e anche retrivi della comunità romana. Costoro si scagliarono contro le culture extra-romane, tacciate di corruzione dei costumi, di indecenza, di immoralità, di sacrilegio nei confronti delle abitudini religiose romane. Il leader dei conservatori era Catone il Censore, il quale lottò accanitamente contro l'ellenizzazione del modo di vivere romano a favore del ripristino del mos maiorum, quell'insieme di costumi e usanze tipiche della Roma arcaica che, secondo Catone, avevano permesso al popolo romano di rimanere unito di fronte alle avversità, di sconfiggere ogni sorta di nemico, di piegare il mondo al proprio volere.

La piccola proprietà terriera messa in crisi dalle aziende agricole patrizie (che sfruttano il lavoro degli schiavi), e le nuove influenze culturali provocano forti tensioni sociali all'interno della società romana.

L'estensione della cittadinanza: la guerra sociale [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Guerra sociale.

Già dal tempo dei Gracchi a Roma si avanzavano proposte d'estensione dei diritti di cittadinanza anche ad altri popoli italici fino ad allora federati ma senza successo. La speranza degli alleati italici era che a Roma prevalesse il partito di coloro che volevano concedere agli alleati italici la cittadinanza romana.

Ma quando nel 91 a.C. il tribuno Marco Livio Druso, che stava preparando una proposta per concedere la cittadinanza agli alleati fu ucciso, ai più apparve chiaro che Roma non avrebbe concesso spontaneamente la cittadinanza. Fu l'inizio della guerra che dal 91 a.C. all'88 a.C. vide combattersi gli eserciti Romani e quelli italici. Gli ultimi a cedere le armi ai Romani, capeggiati tra gli altri da Silla e Gneo Pompeo Strabone, padre del futuro Pompeo Magno, furono i Sanniti. Gli italici si videro comunque riconosciuta la cittadinanza romana. Va comunque detto che allora l'Italia comprendeva solo la parte peninsulare; la parte transpadana formava la provincia della Gallia Cisalpina i cui abitanti non erano ancora cittadini romani. Nel dicembre del 49 a.C. Cesare concesse la cittadinanza romana agli abitanti della provincia e nel 42 a.C. venne abolita la provincia, facendo della Gallia Cisalpina parte integrante dell'Italia romana.

Le rivendicazioni degli schiavi: le guerre servili [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Schiavitù nell'antica Roma.

Il fenomeno della schiavitù nell'antica Roma, con la conseguente disponibilità di una forza lavoro a basso costo sotto forma di schiavi, fu un elemento importante, anche se a livelli variabili nel tempo, nell'economia della Repubblica romana.

Agli schiavi era perlopiù riservato, durante il periodo repubblicano, un trattamento particolarmente duro: secondo la legge, uno schiavo non era una persona, ma una proprietà privata della quale il padrone poteva abusare, danneggiare o uccidere senza conseguenze legali.[14] L'uccisione di uno schiavo era, tuttavia, un evento abbastanza raro, in quanto si concretizzava nell'eliminazione di forza lavoro produttiva. Esistevano diversi livelli nella condizione di schiavo: la peggiore e più diffusa era quella dei lavoratori nei campi e nelle miniere, soggetti ad una vita di lavoro duro.[15]

L'elevata concentrazione e il trattamento oppressivo della popolazione degli schiavi portò allo scoppio di varie ribellioni. Nel 135 a.C. e nel 104 a.C., scoppiarono rispettivamente la prima e la seconda guerra servile in Sicilia, durante le quali piccole bande di ribelli trovarono decine di migliaia di seguaci che volevano sfuggire alla vita opprimente dello schiavo romano. Sebbene fossero considerate gravi sommosse civili e necessitassero di anni di interventi militari diretti per essere sedate, non furono ritenute delle vere minacce per la Repubblica: si trattava infatti di sommosse provinciali, non ben organizzate, che non minacciarono mai la penisola italiana né tanto meno la città di Roma direttamente. Tutto ciò cambiò in occasione della terza guerra servile.

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Per approfondire, vedi la voce Terza guerra servile.

Essa fu una grave rivolta degli schiavi, guidata da Spartaco che durò dal 73 a.C. al 71 a.C.. Spartaco era uno schiavo della Tracia, e venne addestrato come gladiatore. Nel 73 a.C., assieme ad alcuni compagni, si ribellò a Capua e fuggì verso il Vesuvio. Il numero di ribelli crebbe rapidamente fino a 70.000, composti principalmente di schiavi traci, galli e germanici. Inizialmente, Spartaco e il suo secondo in comando Crixus riuscirono a sconfiggere diverse legioni inviate contro di loro. Una volta che venne stabilito un comando unificato sotto Marco Licinio Crasso, che aveva sei legioni, la ribellione venne schiacciata nel 71 a.C. Circa diecimila schiavi fuggirono dal campo di battaglia. 6.000 schiavi vennero crocifissi lungo la Via Appia, da Capua a Roma.

La rivolta scosse il popolo romano, che «a causa della grande paura sembrò iniziare a trattare i propri schiavi meno duramente di prima».[16] I ricchi possessori di latifundia iniziarono a ridurre il numero di schiavi impiegati nell'agricoltura, scegliendo di impiegare come mezzadri alcuni degli ex-piccoli proprietari terrieri spossessati.[17] Più tardi, terminate la conquista della Gallia ad opera di Gaio Giulio Cesare nel 52 a.C. e le altre grandi conquiste territoriali operate dai Romani fino al periodo del regno di Traiano (98-117), si interruppero le guerre di conquista contro nemici esterni, e con esse cessò l'arrivo in massa di schiavi catturati come prigionieri. Si incrementò, al contrario, l'impiego di lavoratori liberi in campo agricolo. Anche la condizione legale e i diritti degli schiavi romani iniziarono a mutare. Più tardi, durante il regno dell'imperatore Claudio (41-54), fu promulgata una costituzione che considerava omicidio e puniva l'assassinio di uno schiavo anziano o ammalato, e che dava la libertà agli schiavi abbandonati dai loro padroni.[18] Durante il regno di Antonino Pio (138-161), i diritti degli schiavi furono ulteriormente allargati, e i padroni furono ritenuti direttamente responsabili dell'uccisione dei loro schiavi, mentre gli schiavi che dimostravano di essere stati maltrattati potevano forzare legalmente la propria vendita; fu contemporaneamente istituita un'autorità teoricamente indipendente cui gli schiavi si potevano appellare.[19]

La crisi della Repubblica: da Mario a Augusto [modifica]

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Gaio Mario, un generale romano che riformò drasticamente l'esercito romano

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Per approfondire, vedi le voci Caio Mario e Guerre contro Giugurta.

Negli anni successivi la politica romana fu caratterizzata sempre più dal radicalizzarsi della lotta tra il partito degli ottimati e quello dei popolari. In questo contesto irruppe nella storia romana un homo novus, cittadino romano proveniente però dalla provincia: Caio Mario. Quest'ultimo scalò rapidamente la sua carriera politica, il cursus honorum, venendo eletto console nel 108 a.C. Nello stesso anno riuscì a farsi affidare la conduzione della guerra contro il re di Numidia Giugurta, che sconfisse nel 105 a.C. Mentre Mario portava vittoriosamente a termine la guerra in Africa, Roma stava subendo pesanti sconfitte da parte delle tribù germaniche; in questo clima di paura Mario, visto come unico generale in grado di organizzare l'esercito contro i germani, venne eletto console per ben cinque volte consecutive, dal 104 al 100 a.C., fino a che la minaccia dell'invasione germanica non fu sventata con le vittorie ad Aquae Sextiae e a Vercelli. In tutto questo periodo, sia contro Giugurta che contro i germani, Mario ebbe come legato un giovane nobile, di cui apprezzava le capacità militari: Lucio Cornelio Silla.

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Per approfondire, vedi la voce Guerra civile tra Mario e Silla.

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Presunto ritratto di Lucio Cornelio Silla

In Senato lo scontro politico tra le due fazioni avverse, quella degli ottimati che aveva trovato il suo "campione militare" nel nobile Lucio Cornelio Silla, e quella dei mariani guidata dal generale ed "uomo nuovo" Gaio Mario, si stava sempre più radicalizzando, non trovando le due fazioni più alcun terreno di concordia comune sugli elementi fondanti dello Stato, come la cittadinanza, la suddivisione delle sempre maggiori ricchezze che affluivano a Roma e il controllo dell'esercito, che si stava trasformando da esercito cittadino in esercito di professionisti. Questa tensione, fino a che Gaio Mario rimase in vita, si risolse sempre nella lotta per l'ottenimento del consolato per i candidati della propria parte politica. Morto Mario, Publio Cornelio, al ritorno dalla vittoriosa guerra in oriente, ritenne di poter forzare la mano e con l'esercito in armi marciò contro Roma nell'82 a.C. Qui, a Porta Collina, ottenne quindi la vittoria decisiva nella guerra civile contro i mariani. Per consolidare la sua vittoria Silla si fece eleggere dittatore a vita e iniziò una vasta e sistematica persecuzione nei confronti dei rappresentanti della parte avversa (le liste di proscrizione sillane) da cui il giovane Giulio Cesare, nipote di Gaio Mario, riuscì a stento a sottrarsi. Fino a che morì, nel 78 a.C., l'unica seria opposizione che continuò ad essere condotta contro Silla, fu quella condotta da Sertorio dalla Spagna.

Nel 70 a.C. la costituzione sillana venne abolita da Pompeo e Crasso, della quale erano stati dieci anni prima fautori convinti.

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Moneta raffigurante Augusto e Marco Vipsanio Agrippa, vincitori della battaglia di Azio

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Per approfondire, vedi le voci Guerra civile romana (49 a.C.) e Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio.

Il mondo romano si avviava a divenire troppo vasto e complesso per le istituzioni della Repubblica; la debolezza di queste ultime, ed in particolare del senato (e della classe aristocratica da esso rappresentata) divenne già evidente nelle circostanze del primo triumvirato, un accordo informale con cui i tre più potenti uomini di Roma, Cesare, Crasso e Pompeo, si spartivano le sfere d'influenza e si garantivano reciproco appoggio. Dei tre, la figura di Cesare era la più emblematica dei nuovi rapporti di potere che stavano emergendo: nipote di Mario, egli aveva anche per questo aderito sin da giovane alla fazione dei populares e costruì il suo potere con le conquiste militari ed il rapporto di fedeltà personale che lo legava al suo esercito. Fu per questo che quando, dopo la morte di Crasso (53 a.C.), le ambizioni personali di Cesare e Pompeo si scontrarono, il senato preferì schierarsi con quest'ultimo, che si mostrava più vicino agli optimates, e garantiva un più forte atteggiamento di rispetto verso i privilegi senatoriali (per quanto non sfuggisse ai più attenti, come Cicerone, che qualunque dei due contendenti avesse prevalso il potere del senato sarebbe stato irrimediabilmente compromesso).

Lo scontro, sempre latente, si mantenne sempre entro i limiti delle tradizionali forme di governo del potere romano, fino al 49 a.C., quando il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle legioni che aveva condotto alla conquista delle Gallie, e di tornare a Roma da privato cittadino. Il 10 gennaio abbandonando gli ultimi dubbi, (Alea iacta est), Cesare attraversò con le sue truppe il Rubicone dando inizio alla guerra civile contro la fazione opposta. La guerra civile fu combattuta vittoriosamente da Cesare su tre fronti: il fronte greco, dove Cesare sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo, il fronte africano, dove Cesare riusci ad avere la meglio sugli Optimates guidati da Catone il giovane con la decisiva battaglia di Utica, ed il fronte spagnolo, dove la battaglia decisiva avvenne a Munda sull'esercito nemico guidato dai figli di Pompeo, Gneo e Sesto. Cesare, avuta la meglio sulla fazione avversa, assunse il titolo di dictator, assommando a se molti poteri e prerogative, quasi un preludio della figura dell'imperatore, che però egli non assumerà mai, ucciso alle idi di marzo nel 44 a.C.

La morte del dittatore, contrariamente alle dichiarate intenzioni dei congiurati, non portò alla restaurazione della Repubblica, ma ad nuovo periodo di scontri e di guerre civili. Questa volta però i due contendenti, Augusto e Marco Antonio, non erano i campioni di due fazioni tra di loro rivali, ma rappresentanti di due gruppi di potere che combattevano per il predominio sulla parte avversa, senza avere alcuna velleità di restaurare le Repubblica, che come istituzione storica risultava oramai superata. La guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio terminò con la Battaglia di Azio nel 31 a.C., con la quale il futuro Cesare Augusto sconfisse il rivale Marco Antonio, dando inizio, se non nelle forme sicuramente nei fatti, al periodo imperiale della storia romana. Augusto mantenne in vita (formalmente) la Repubblica, di fatto trasformandola in una monarchia, pur nell'apparenza del Principato. Ufficialmente ebbe fine dopo il 235 d.C. In particolare, nel 284, l'imperatore Diocleziano, iniziò una nuova fase, il Dominato, cambiando radicalmente le antiche istituzioni romane.

Età imperiale (27 a.C.-476 d.C.) [modifica]

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Per approfondire, vedi la voce Impero romano.

L'Italia sotto Augusto: le undici regioni augustee [modifica]

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Per approfondire, vedi le voci Augusto e Regioni dell'Italia augustea.

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Augusto, fondatore dell'impero romano.

Ottaviano Augusto mantenne le antiche istituzioni repubblicane, seppur svuotandole di ogni potere effettivo. Sebbene la repubblica continuasse formalmente a esistere, in realtà era diventata un principato retta dal princeps o imperatore, che era l'assoluto padrone dell'Impero.

Con i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto organizzò l'amministrazione dell'Impero con molta padronanza. Stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura di servizio civile formata da cavalieri e da uomini liberi (mentre in precedenza erano prevalentemente schiavi) e previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da proconsoli di nomina senatoria) ed in imperiali (governate da legati imperiali). Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e soprattutto Virgilio. La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la sua popolarità. Augusto inoltre per primo creò un corpo di vigili, ed una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa amministrativamente in 14 regioni.

Ottaviano completò la conquista dell'Italia, sottomettendo in un arco di tempo compreso tra il 25 a.C. e il 6 a.C. le popolazioni alpine tra cui Salassi, Reti e Vindelici. Fu solo nel 6 a.C. che Augusto riuscì a sottomettere tutte le 46 popolazioni della penisola italiana, unificando definitivamente la penisola sotto il dominio di Roma. Per questi trionfi i Romani eressero in onore dell'Augusto un monumento sulle falde meridionali delle Alpi, presso Monaco. Nel 7 d.C. divise l'Italia in undici regioni:

Il futuro semplice in italiano indica:

· un'azione che ancora si deve svolgere

Per formare il futuro dei verbi italiani bisogna aggiungere delle desinenze alla radice del verbo.

Esempi:

Domani andrò al mare.

Partiranno la settimana prossima.

Pranzeremo alle 20:00.

Tra tre giorni sarete già in vacanza.

Futuro Indicativo dei verbi mangiare, credere, partire.

Mangiare

Credere

Partire

io mangerò

tu mangerai

lui/lei/Lei mangerà

noi mangeremo

voi mangerete

loro/Loro mangeranno

io crederò

tu crederai

lui/lei/Lei crederà

noi crederemo

voi crederete

loro/Loro crederanno

io partirò

tu partirai

lui/lei/Lei partirà

noi partiremo

voi partirete

loro/Loro partiranno

Futuro dei verbi essere e avere.

Essere

Avere

io sarò

tu sarai

lui/lei/Lei sarà

noi saremo

voi sarete

loro/Loro saranno

io avrò

tu avrai

lui/lei/Lei avrà

noi avremo

voi avrete

loro/Loro avranno